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The Clutters Storyteller

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Davide cambia etichetta e genere musicale, rinnova completamente l’ entourage artistico, effettuando così un salto verso la perfezione.

Infatti troviamo come produttore artistico e al basso Fabio Zuffanti, vero mentore del Prog italiano, Martin Grice, storico strumentista dei Delirium, ai fiati.

Gli arrangiamenti sono ad opera dello stesso Davide, Zuffanti e di Giovanni Pastorino, che suona magistralmente tutte le tastiere, i Moog e il Mellotron. (Davide riuscirà a ritagliarsi alcuni sprazzi al piano e al synth solo in un paio di pezzi. La batteria è di Paolo Tixi, vera furia alla John Bonham in alcuni tratti, e alle chitarre il suono corposo di Simone Amodeo.

I brani sono 9 ma il primo è diviso in due parti, Feel… e My dream, ma è effettivamente lo stesso pezzo. I testi salgono ancora ad un livello superiore, a parte qualche citazione al tanto amato E.A.Poe, ci sono testi molto profondi e ambientazioni surreali, a tratti grottesche e in un paio di songs anche tematiche ironiche

La maggior parte dei brani sono nati poco dopo la tragica scomparsa della madre di Davide, alla quale è dedicato l’intero lavoro, per tanto è facile riconoscere in alcuni di questi atmosfere pregne di drammaticità e dolore.

L’ opening è affidato al singolo Feel… My dream, una vera ballata dalle atmosfere continuamente cangianti, nel pieno rispetto della musica Prog, e dove la voce di Davide passa dalla dolcezza di un falsetto morbido e corposo, ad acuti di una duttilità difficilmente riscontrabili nelle produzioni attuali.

L’ atmosfera è drammatica, a tratti rabbiosa, sfuggente, per poi placarsi in un finale alla Scott Walker. Il secondo pezzo è Ballad of a creepy night, un racconto grottesco, dove una piccola donna sale su un treno portando con sé una borsa molto pesante, un uomo, che resterà avvolto nell’ombra senza una reale forma, gliela sottrae fuggendo via dal treno , immaginando di aver rubato una borsa ricca di valori, troverà invece al suo interno una testa mozzata. Atterrito potrà solo urlare di paura.

Il pezzo è dinamico, coinvolgente, con un arrangiamento vivace e mai banale.

Poi c’è Slave of your shell, un ritmato Pop Rock con una citazione centrale a la Genesis, dalla musicalità più leggera ma con una tematica surreale e pungente. L’ anima di un individuo parla in prima persona avallando la tesi secondo cui il corpo è volgare, caduco, mentre lei gli è superiore, in quanto immortale, eterea. Un concetto che trova fondamento in testi scritti dal filosofo greco Platone, secondo cui il corpo è la prigione dell’ anima che viene a sua volta contaminata dalla malvagità della materia stessa.

Si prosegue con il brano più Prog del disco, Underground, che come lo stesso titolo ci fa intendere, la storia si svolge proprio sotto terra, e dove il protagonista è una persona sepolta viva. Probabilmente un testo mai scritto prima, azzardato e coraggioso, indubbiamente ispirato ad alcuni racconti di E.A.Poe, il maestro dell’ incubo.

Questa storia angosciante ha un tema musicale che non trova mai pace, e dal’ inizio alla fine cambia musica ed atmosfere, per poi arrivare ad un finale inatteso, una breve suite in stile Bolero, dove la batteria e l’ atmosfera crescono incessantemente, fino a realizzare un finale dedicato al gong, una cavalcata in pieno stile anni ’70.

L’ipotetico lato B si apre con un altro brano dal testo bizzarro e oscuro, The vortex. Un peschereccio si ritrova in piena burrasca, poi risucchiato da un vortice, su una terra sconosciuta, circondati da ossa e teschi, dopo aver trascorso del tempo senza cibo, saranno costretti al cannibalismo.

Potente dal punto di vista letterario, oltraggioso forse, addirittura nichilista, ma anche dal sapore fantasy horror, drammatico…insomma c’è davvero di tutto in questo brano che ha le tipiche progressioni musicali del Progressive anni ’70, con cambi di tempo e di atmosfere, e con un finale dedicato al magistrale sax psichedelico di Martin Grice, che chiude in perfetto stile Pink Floydiano questo racconto originalissimo.

A seguire una ballata, con sonorità da musica da camera, e il falsetto del cantautore che si spiega su vette che attualmente non trovano paragoni. Il titolo è False reality, un brano scritto in età adolescenziale e qui corretto, parla di una figura quasi mitologica, che ha diversi poteri nelle sue mani, addirittura quella di smuovere maree, far crollare montagne, tiene in sospeso il mondo , ma non conosce l’amore, e questa cosa lo rende immensamente triste e angosciato. L’unico brano in tutto il cd che cita la parola “amore”.

Attaccato a questo pezzo troviamo la breve In a different dimension, dallo stile cinematografico, sia nella musica che nel testo, quest’ ultimo paragonabile ad un episodio della serie anni ’70, Ai confini della realtà.

Infatti il testo racconta di una coppia, entrambi si trovano nello stesso momento nello stesso posto, ma in due dimensioni diverse, quindi possono sentire l’uno la voce dell’ altro, ma non possono né toccarsi e né vedersi…angosciante. La particolarità sta in una delle due voci del cantato, dove Davide usa una inconsueta tecnica vocale, infatti la voce viene inspirata, e quindi la difficoltà è enorme, e la voce risulta molto strana, tanto da sembrare manipolata. Questa particolare tecnica è stata appresa ascoltando una filastrocca eseguita in questo modo da Demetrio Stratos degli Area.

Ci avviciniamo al termine, ma prima c’è uno spazio di Prog Rock molto bello, il cui titolo è The man who’s sleeping.

Ritmato e cangiante di atmosfere e di tempo, racconta la surreale vicenda di un uomo che al suo risveglio non troverà più niente di ciò che lo circondava prima, e come caduto in un buco nero non si darà pace, cercando le sue cose ma non trovando neanche le pareti . Solo alla fine si ricorderà di domandarsi “dov’è mia moglie?”.

Un testo che è un paradosso alla vita di oggi, la vita dettata da un consumismo che ci fa dimenticare quali sono le cose che hanno realmente valore.

La conclusione è affidata alla splendida ballata The last time you called my name. Un pezzo che si apre con le onde del mare e la voce della madre che canta una melodia sconosciuta.

Poi un pianoforte struggente e la voce commossa del cantato, ci portano verso un cambio di tempo in 6/8 con la bellissima chitarra che ci fa quasi danzare per poi lasciare spazio ad un bellissimo solo di Pastorino al Moog.

Il testo tratta di un uomo stanco della sua vita che lo ha portato ad accumulare solo ferite, e che nella disperazione chiede a sua madre di riportarlo dentro di sé, e solo una volta dentro l’ utero materno, riuscirà a trovare il vero significato della vita.

Il giusto finale, commovente e poetico, per un album così unico, dove il dolore si trasforma in arte.